Racconti dal treno: Troviamo Denise
Troviamo Denise. Salgo sul treno, come quasi ogni giorno da tanti anni, e nel vagone semideserto trovo il solito posto, quello che l’esperienza mi ha insegnato essere il migliore, il più riparato dalle correnti d’aria, il meno disturbato da quelli che passano. Ma oggi c’è qualcosa di diverso. Non capisco cosa sia, ma c’è. Eppure… Troviamo Denise. Davanti a me, sull’altra fila di poltrone, un passeggero dorme. Ha in braccio una borsa di pelle. Sopra la borsa, un fascio di carte. Noiose, immagino, visto che si è addormentato. Profondamente, con la bocca aperta. Troviamo Denise. In mano tiene il biglietto – forse non sa che il controllore, con una certa qual malignità, sveglia sempre tutti quando vuol vedere i biglietti, anche quelli che ne hanno uno che non deve esssere forato. E in mano tiene anche, ben più strano a vedersi, una lente di ingrandimento. Non è la lente però che mi dà questa sensazione di stranezza: un ipovedente merita comprensione, non meraviglia.
Troviamo Denise. Continuo a guardarmi intorno. Troviamo Denise. Passa una ragazza mangiando una mela. Nulla di strano. Delle valigie sulla reticella, in fondo al vagone. Del tutto normali. Troviamo Denise.
Ecco cosa c’è! Dalla reticella pendono i soliti cartoncini pubblicitari. Da qui ne vedo sei: tutti della stessa grandezza, tutti blu con le scritte in giallo. Forse ho guardato distrattamente i più vicini a me: sono la réclame di una di quelle truffaldine società finanziarie che vogliono estorcere soldi a chi di soldi non ne ha. Ma gli altri quattro sono diversi.
Portano due fotografie di una bambina, carina, la scritta “troviamo Denise” che avevo percepito in modo subliminale, e un numero di telefono. C’è scritto anche qualcos’altro, ma in piccolo, e da qui non riesco a leggerlo. Dai giornali so qualcosa di questa bambina che è scomparsa, ma non me ne sono mai preoccupato più di tanto.
E adesso, improvvisamente, con una brutalità che mi colpisce molto di più di quanto mi sarei mai aspetttato, ecco che il dramma di questi genitori mi arriva addosso con tutta la forza della loro disperazione: hanno riempito un treno, un treno che viaggia su e giù per tutta l’Italia, con manifesti che probabilmente non serviranno a nulla, se non forse a dar loro qualche fugace illusione stimolando la fantasia malata di qualche mitomane, o più semplicemente la buona volontà di qualcuno che poi si scuserà dicendo che credeva, ma sì, però probabilmente si è sbagliato… no, non era quella, le assomigliava soltanto. Mah, almeno spero che sia così.
Tutto questo, mentre per quel poco che ho capito probabilmente chi sa qualcosa è proprio vicino a loro, forse così vicino che è addirittura impossibile distinguere fra chi cerca e chi è cercato. Non sono colpevolista, per carità, lascio solo aperta la porta a tutte le ipotesi, perché tante cose sono così impossibili da essere vere… Ma intanto Denise non c’è, e probabilmente non è neanche più viva. Ormai è passato troppo tempo. E subito il dramma dei genitori mi appare meno importante. Forse non esiste neanche. Ma quello di Denise, quello sì che esiste.
Qualcuno sa qualcosa.
Qualcuno non dice quello che sa perché non gli conviene. O perché ha paura. O solo perché non sa che ciò che sa potrebbe servire a qualcun altro. Io? Mi interrogo, penso e ripenso, ma no, io quella bambina non la ho mai vista. Almeno per una delle cose brutte che succedono nel mondo non mi sento colpevole. Eppure la sensazione sgradevole rimane. Voglio leggere le scritte piccole che da qui non vedo bene. Forse riusciranno a spiegarmi qualcos’altro. Però c’è gente, disturberei qualcuno. Lo farò quando sarà ora di scendere dal treno, che tanto per cambiare è in ritardo. Intanto continuo a pensare. Mi è venuto il mal di testa, a furia di rimuginare su questo “troviamo Denise.”
Lo scambio di Pioltello. Ancora sette minuti e ci siamo. Poi saprò cosa c’è scritto in caratteri piccoli. Ma intanto… dunque, l’informazione c’è. Da qualche parte nel mondo qualcuno sa qualcosa. Probabilmente c’è anche qualche macchina che sa, qualche centralino telefonico, qualche gateway dell’internet, qualche registratore… ma le macchine sono stupide, le macchine non capiscono il bene e il male, e sono state costruite per stare zitte. D’altra parte, se parlassero, dovrebbero dire tutto quello che sanno, e non si finirebbe più.
Quindi restano solo gli uomini. Gli animali, quelli, non sanno parlare…
Il treno rallenta. Mi alzo. Mi avvicino ad uno dei cartelli. Non capisco. Ci sono alcune informazioni in più, e poi un indirizzo internet e un numero di conto corrente. Un conto corrente?
Il treno si ferma. Scendo, prendo la bicicletta. Intanto rimugino. Un conto corrente? E per fare che? Sulla locandina in treno non mi pare che ci fosse scritto Arrivo a casa e riaccendo il calcolatore. Vado su quel sito internet, e trovo una pagina con più o meno le stesse informazioni. Del conto corrente però non c’è traccia. C’è solo sulla locandina che ho visto in treno, e che viene offerta anche dal sito internet come opzione da scaricare.
Non capisco… forse avrei dovuto leggere meglio i giornali, ma si fa presto a rimediare: tutta questa tecnologia servirà bene a qualcosa, no? Interrogo i motori di ricerca. Trovo valanghe di materiale, ma dei soldi si dice poco… forse servono per comprare quelle informazioni, forse per costituire un riscatto da offrire. E pare che ci sia già qualcuno che ha offerto un sacco di soldi ma non si sa chi sia, e i verbali di interrogatorio dei genitori sono secretati, e hanno sequestrato tutte le macchine dei parenti, e forse c’entra la mafia, forse è un’intimidazione. Hanno tagliato le gomme della macchina della mamma. Hanno incendiato il negozio della zia. E nessuno ne sa niente. Nessuno. quelli che non sanno vorrebbero aiutare. Quelli che sanno non vogliono. Qualcuno cerca di approfittarsene. Chissà chi è. L’unica cosa che mi resta sono gli occhioni di questa bambina di quattro anni che mi guarda da quattro fotografie. Troviamo Denise.
Sì, troviamola.
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