Racconti dal treno: il dramma dell'incertezza
Scusate se sto diventando noioso, ma questo mi serve come promemoria. Potete fare benissimo a meno di leggerlo. Io invece non riesco a fare a meno di scriverlo.
Allora: martedì mattina, otto e dieci: esco di casa, inforco la Rugginosa (il Che aveva “la Poderosa”, l'ispettore Clouseau aveva “la Turbinosa”, e io non posso avere la Rugginosa?) e vado alla stazione. Freddo, non c’è nebbia, sembra una mattina normale. Arrivo a Lambrate e trovo un tabellone delle partenze che sembra la fotocopia di quello che ho pubblicato qualche giorno fa: quasi tutti i treni in ritardo, tranne il mio. Bene. Arrivo al binario, saluto il collega M. e la misteriosa signora che immancabilmente, da anni, il martedì va a Brescia con una valigetta con le rotelle e che poi non vedo più per tutta la settimana, e aspetto. Passa l’Intercity per Venezia: chiaramente in ritardo, ma è normale. Del mio treno ancora nessuna traccia. Comincio a preoccuparmi un po’, anche perché il locale delle otto e un quarto per Brescia ha un ritardo di 25 minuti, e non è ancora arrivato. Questo non è un buon segno. Finalmente, verso le 8:25 (il treno doveva partire alle 8:22), puntuale come un orologio svizzero, ecco l’annuncio: causa guasto tecnico il treno bla bla subirà un ritardo di 60 minuti. Grazie tante: ma non potevate dirlo prima? Ora, dovete sapere che da Milano, intorno alle nove, partono due meravigliosi rapidi che vanno a Venezia. (Cosa servano due rapidi uno dietro l’altro è un bel mistero... Ma non complichiamoci troppo la vita.)
Io non dico che bisognerebbe far fermare questi rapidi a Lambrate per raccattare i poveracci orfani del loro treno, come non dico che bisognerebbe attrezzare un treno speciale o un pullman per quei quattro gatti, perché sono proprio quattro, che scendono e salgono nelle stazioni intermedie, ma a quelli che come me devono andare a Brescia, e per chi va a Peschiera o a Verona non costerebbe nulla prendere uno dei tanti trenini che entrano a Milano, andare alla Centrale, e ripartire in direzione opposta con uno dei due. Già, ma per farlo bisognerebbe sapere per tempo qual è il treno che partirà, anzi, che arriverà per primo.
Tornando a questa mattina, l’alternativa era complicata da quel maledetto regionale in ritardo, che sembrava essere la risorsa più promettente. Discutiamo, ipotizziamo, cerchiamo di modellizzare, da bravi ingegneri, ciò che sta succedendo... E alla fine decidiamo di prendere il locale. Ma anche questo, nel momento in cui dovrebbe arrivare, viene annunciato in ritardo, per un guasto!
Quando finalmente arriva, con un’ora di ritardo, chiedo alla controllora come posso fare per mettermi in contatto con il cosiddetto “referente di direttrice”. E lei, gentile, prova a telefonargli... Beh, ci credereste? Il referente di direttrice ha il telefono spento.
Adesso sono le diciotto e trentasette, e l’orario mi dice che sono di nuovo a Lambrate. Nevica. È tutto bianco. Strano. Il paesaggio mi sembra strano... Familiare ma strano... Perché su quel cartello c’è scritto Pioltello? Ah, già: perché mi ero dimenticato che stasera a Romano c’è stato un guasto tecnico: dieci minuti di ritardo. E, mentre il mio treno trionfalmente attraversa la stazione, vedo come in un flash un treno fermo e vuoto, con un gruppo di ferrovieri che discutono e gesticolano animatamente, illuminando con le lampade di servizio un qualche congegno fra due vagoni, evidentemente anch’esso guasto.
Arrivo a Lambrate. Ore diciotto e cinquanta. Altri tredici minuti di ritardo. Signori dirigenti delle ferrovie: siete degli enormi, incredibili, stupefacenti cialtroni.
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